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Recensioni

Dott. Matteo Mazzato

Padova - Agosto 2004

La pittura sta attraversando un periodo di grande rinascita. Dai primi anni ’80 sembra che l’onda concettuale abbia subito, se non un arresto, un forte rallentamento per lasciare spazio ad una miriade di artisti postmoderni che fanno di essa il sigillo con il quale marchiare indelebilmente la loro arte. Anacronismo, Transavanguardia, Citazionismo, Nuovi Nuovi, Bad Painting, hanno cercato, ed in parte trovato, nel colore e nel pennello una “restaurazione” dei principi dell’arte. La denuncia al recupero ed al rispetto dei padri è palese, e appare evidente che nessun poeta, nessun artista di alcun genere sviluppa il suo pensiero in totale autonomia (T.S.Eliot), qualunque sia il mezzo che esso sceglie per raggiungere lo spettatore. Non è facile, affrontare la superficie dopo un secolo di rivoluzione, dopo mostri sacri come, Picasso, De Chirico, Dalì … Premesso che non è mia intenzione negare i riferimenti storici ai quali la pittura di Ferdinado Graziano può, con facile analisi, essere ricondotta, tengo a precisare, tuttavia, come i rimandi alla Metafisica, ad una costruzione cubista, o al tubisme di Ferdinand Leger possano distogliere chi legge e chi affronta un’opera di Graziano dai reali intenti che l’artista si pone. Guardare oltre la superficie per cogliere la vera essenza di un’opera risulta sempre più difficile. Bombardata da immagini di ogni tipo e natura, la nostra vista si stanca e la nostra mente comincia a schermarsi. La produzione di Ferdinando Graziano ha subito nell’ultimo periodo una grande, inaspettata svolta. Dopo la rappresentazione di personaggi privi di volto, riconducibili con banale facilità, ai manichini di De Chirico e Carrà, privi di identità e paladini di una condizione umana e sociale assoluta-globale, l’artista ha introdotto nei suoi lavori un elemento mai affrontato prima: il volto! Perché confrontarsi proprio con quel tema che per anni è stato assente protagonista? Si tratta veramente di una svolta radicale, oppure di una logica conseguenza dell’indagine condotta per tanti anni. La risposta nasce dopo una lunga riflessione ed un colloquio con l’amico artista. I volti di Ferdinando sono, rigorosamente, costruiti in studio, frutto della memoria inconscia del pittore, e, pertanto, non possono assolutamente essere associati al termine ritratto. Anzi! Si pongono, piuttosto, come la negazione di quest’ultimo, perché risultanti, come nel caso dei quadri precedenti, di una concezione assoluta della figura umana. La negazione del ritratto sfocia in personificazione, in allegoria, di volta in volta, degli istinti, delle fobie, delle passioni, delle sensazioni… Il campo si restringe, il taglio diventa fotografico, molto ravvicinato, come una zoommata dalla forte carica indagatrice. Gli sguardi dei protagonisti invitano lo spettatore ad entrare nella loro psicologia inesistente (in quanto non individuale) per far emergere quella dell’uomo, quanto mai presente. La spoliazione di elementi di disturbo, l’essenzialità che prima era lampante, viene mantenuta, L’assenza di prima si contrappone alla presenza, in un gioco intellettuale mirato a far emergere l’ego–universale dell’individuo/uomo nella sua totalità. Graziano non ci racconta storie, non è un narratore, preferisce la poiesi, la poesia (oggi cosa rara), per far affiorare la condizione. Potrei facilmente dire: mai sguardo fu più eloquente. Se nel ciclo dei senza volto emerge la percezione dell’assenza, nei volti si percepisce la grande forza della presenza. I volti di Graziano completano una sequenza logica. In essi si attua il distacco dalla concezione metafisica per giungere ad una tangibile ed organica metarealtà. Anche la forte carica di ambiguità presente nelle opere del precedente periodo viene mantenuta grazie all’utilizzo della stessa tecnica, un olio opaco che conferisce all’opera una luce irreale, sospesa, ucronica, per fissare l’immagine in atmosfera priva di alcun riferimento temporale. Poca importanza ha chi realmente siano i soggetti dell’opera di Graziano, è la loro condizione che interessa all’autore. La miriade infinita di sfaccettature insite nell’individuo emerge senza pudore, senza veli, nella lama degli sguardi di pirandelliana memoria. Uno, nessuno, centomila presenze, una nessuna centomila assenze. Graziano sembra sottolineare come la natura umana possa essere analizzata, interpretata ed approfondita senza che essa si avvalga dei simboli della classicità, ma, semplicemente con la nuda ed eloquente presenza della coscienza. La consapevolezza e la comprensione della coscienza, matura nello sguardo dei personaggi senza mediazione alcuna. Se negli uomini senza volto erano gli elementi costruttivi a parlare, nei volti, ciò che ci permette di varcare la soglia della psicologia dell’ego umano, è l’occhio opaco e privo di filtro, privo di lacrime e di cornea, mutilato delle sue difese. Scopro il volto della gente, la loro anima. Sento la loro essenza. Individui senza nome che mi passano accanto sul marciapiede del quartiere, nella luce artificiale della metropolitana. Uomini, forse esistenti all’interno di un video, nelle pagine delle riviste di viaggi e di moda, figli dello stesso Dio che si nutrono della medesima linfa che li attornia. Il loro volto appare all’interno dei loro occhi, talvolta scompare per lasciare spazio ai loro abiti, ai loro oggetti, alla loro muta condizione. Per rispondere alla domanda posta in precedenza si può affermare con certezza che le due esperienze si perfezionano grazie alla loro complementarietà. L’iter di Graziano, approda ad una nuova matura stagione, attraverso la consapevolezza della forza indagatrice che la pittura, da Leonardo ad oggi ha avuto ed avrà sempre.


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