Dott.ssa Silvana Weiller Romanin Jacur
Padova - Ottobre 1994
Un richiamo inatteso, di là dal tempo, giunge da Fernando Graziano, pittore silenzioso, attento oggi a un messaggio metafisico aleggiante attorno ai primi decenni del novecento dalle tele di De Chirico, di Carrà, del primo Sironi, di Savinio.
Momento di mistero sospeso nel vuoto magico delle piazze arcate, sopra i manichini senza volto, fra i binari incrociati nella notte: tempo di suggestione e di attesa perduta, richiamata dal nulla. La pittura di Graziano vive di evocazione, vive di personaggi senza volto, apparizioni imprevedibili, passate nell’ombra di un istante, da un mondo immemoriale, alla realtà contingente.
Una sensazione di instabilità costante sposta le immagini nell’ambito di un surrealismo onirico a noi vicino, pur mantenendo un linguaggio di primo novecento, che si lega anche al decorativismo Klimntiano: il personaggio, presenza al confine della realtà, emerge dal disegno sbiadito della carta o dal gioco delle pietre della parete e di lì racconta una storia ormai cancellata, fra essere e non essere.
Interessante il gioco geometrico-spaziale che si propone come ragione e insieme come corollario dell’evocazione, sottolineandone l’ambiguità, allargata puntigliosamente a ogni particolare.
Interessante ed inconsueta, infine, la posizione stessa dell’artista, che opera nel solco di un passato quasi dimenticato e lo rende attuale o meglio lo enuclea dal tempo per una sottile ed assai rara percezione esoterica, dominante e valida di là da ogni connotazione stilistica.
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